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Un prodotto che ha il sapore della storia

Se dici Toscana, dici Finocchiona. E non da oggi. L’origine di questo legame risale infatti al Medioevo, quando i norcini per sopperire all’uso del più raro e costoso pepe, pensarono di aggiungere all’impasto quello che Madre Natura metteva a disposizione nei campi e sulle colline toscane: i semi di finocchio. Nasceva così la Finocchiona che, nel corso dei secoli successivi, fu ancor più apprezzata e amata, diventando la ‘regina’ delle tavole imbandite nobiliari e delle osterie più popolari della Toscana. Si racconta che nel Quattrocento, anche Niccolò Machiavelli fosse un grande estimatore di questo salume, tanto da non farlo mai mancare durante i pasti. L’uso comune del termine ‘Finocchiona’ si ritrova anche in molte testimonianze storiche tra Ottocento e Novecento. Basti pensare che nel 1875 la Finocchiona viene citata nel Vocabolario della lingua parlata di Rigutini e Fanfani, mentre nel 1878 entra a far parte del Dizionario Pirro Giacchi’. Anche il Vocabolario degli Accademici della Crusca, edizione 1889, rende omaggio alla Finocchiona, sottolineando il suo legame con la Toscana. In epoca moderna un ulteriore riconoscimento alla tipicità della Finocchiona è stato dato dalla Treccani che nel 1956 la inserisce come ‘Salume tipico toscano’ nel Dizionario Enciclopedico Italiano.

La leggenda.

Come gli abili parrucchieri sono capaci di far sembrare piacente anche la donna più brutta, così l’aroma della Finocchiona è capace di camuffare il sapore anche del più imbevibile vino’. Recitava così un detto popolare nel Chianti riferendosi alla leggenda secondo cui i contadini toscani per nascondere eventuali difetti dei loro vini usassero insaporire la ricetta della Finocchiona con una quantità maggiore di semi e fiori di finocchio. In questo modo anche i vini meno pregiati e di qualità scadente, dopo una fetta di pane e Finocchiona, diventavano più buoni.

Curiosità.

Lo sapevi che in Toscana l’allevamento dei maiali è riconducibile alla tradizione etrusco-latina? Plinio narra che, l’Etruria, nome della Toscana in età classica, era solita spedire, ogni anno, ventimila suini da macello a Roma: dai forteti della macchia maremmana ai boschi di querce e castagni fra il Tevere e l’Arno, si estendeva un immenso parco dove i suini vivevano in condizioni ideali per fornire la carne per la preparazione di insaccati.

Intervento realizzato con il cofinanziamento FEASR del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 della Regione Toscana - sottomisura 3.2